'El nimàal de Ingelòon Bagàana': storie di miseria e vita contadina di inizio '900 raccontate da Giovanni Gusberti di Stagno Lombardo (2024)

Siamo tra gli argini e la golena di Stagno Lombardo, tante frazioni e cascine disseminate tra campi e bodri, vicino al Po che scorre tra piene autunnali e secche estive.

Qui la vita all'inizio del secolo scorso non era facile per chi lavorava nei campi e nelle stalle, da mangiare ce n'era sempre troppo poco e le bocche da sfamare erano tante. Ci si arrangiava come si poteva, cercando mi mettere qualcosa in tavola ed anche un uovo spesso era una ricchezza, per chi aveva la fortuna di poter tenere qualche gallina da allevare.

'El nimàal', il maiale, quello no, non era per tutti.

In questo contesto dunque nasce la storia di Ingelòon 'Bagàana', al secolo Angelo Tosi, che doveva il suo appellativo al fatto che amasse particolarmente il vino rosso e fosse addirittura campione -imbattuto ed imbattibile ai suoi tempi- di tracannamento di bottiglioni. Bagàana infatti in dialetto cremonese indica proprio 'tracannatore', 'grande bevitore' e probabilmente il povero Angelo (povero proprio nel senso letterale della parola) non poteva permettersi altro vizio -o soddisfazione- che ingollarsi grandi quantità di vino.

La sua singolare storia ce la racconta oggi Giovanni Gusberti, nato e cresciuto proprio a Stagno, grande appassionato del Po e dei bodri della zona, ma soprattutto curioso e prolifico scrittore e narratore di tradizioni e vicende legate al paese ed ai suoi abitanti.

"Ingelòon lavorava per la famiglia Benini, nobili cremonesi che tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900 avevano la proprietà del podere di Straconcolo. Lui era il 'famiglio, èl famèi', una specie di maggiordomo tuttofare che teneva l'orto, il giardino e la vigna e che si curava anche dei 3 maiali che i Benini tenevano per sè - racconta Gusberti-. Ingelòon era un buon lavoratore, certo gli piaceva il vino e ne beveva tanto. Lui poi si occupava della vigna, che produceva uno dei migliori vini della zona. Pensa che si vantava di aver assaggiato i vini di tutta Italia quando aveva accompagnato Roberto Benini, figlio del padrone Arnaldo, per ben due volte nella mille miglia"

Ma la vera storia -tragicomica- di Bagàna e del 'suo' maiale inizia con un 'dramma', prosegue con notti insonni e termina con un disastro.

Il dramma

Il nobile Arnaldo Benini quell'anno (non ben definito, ma siamo all'inizio del secolo scorso) aveva deciso di allevare tre maiali nel solito porciletto in cascina.

Uno dei tre, il più debole, ad un certo punto viene preso di mira dagli altri due: si azzuffano, si mordono e naturalmente il deboluccio ne esce ferito e sanguinante, fatto quest'ultimo che suscita continui attacchi da parte dei due verri più forti. Ingelòon naturalmente se ne accorge, essendo lui l'incaricato della cura dei porcelli, e fa di tutto per cercare di tutelare e curare la bestia. Addirittura gli prepara un 'barèch' sotto il portichetto di casa sua, dove riparare il maiale debole e ferito.

Niente da fare, dopo qualche giorno di agonia, tra emorragie e ferite infette, il maiale soccombe agli attacchi dei più forti. E muore.

A quel punto il padrone ordina a Bagàana di prendere la carcassa e seppellirla nel campo, dietro la 'pila del rüt'. E Ingelòon naturalmente obbedisce, scava la fossa e seppellisce il povero animale.

Fine della storia? No, certo.

Le notti insonni

La fame, si sa, non concilia il sonno. La pancia vuota di Ingelòon non gli dava tregua in quei giorni. In più, il pensiero del povero maiale morto e sepolto nel campo non se ne andava proprio. Non per pietà verso l'animale, ma per il dispiacere di aver dovuto buttare sotto un metro di terra tanta carne quanta sarebbe servita a garantire a lui ed alla sua famiglia, pranzi e cene ricche per un bel po'.

Un vero spreco. Uno schiaffo alla miseria, un pugno nel suo stomaco ancora desolatamente vuoto.

Ma si sa che il bisogno aguzza l'ingegno e quindi ecco l'idea geniale: di notte, col favore delle tenebre, quatti quatti, andare dietro la pila e dissepellire il maiale, portarlo a casa e ricavarne carne e strutto. Nessuno avrebbe saputo nulla e Ingelòon e la sua famiglia avrebbe finalmente avuto carne in abbondanza. Certo, era ormai passata quasi una settimana da quando il maiale era stato seppellito, ma una buona cottura avrebbe risolto ogni problema.

Nemmeno quella notte dunque nessuno dormì, ma stavolta non fu la fame a tenerli svegli, bensì il piano infallibile e ben studiato di eludere il bergamino del turno di notte, riprenersi il maiale e tornare a casa ricchi e felici. E così fu, il piano filò liscio e in poco tempo la carcassa del maiale era sul tavolo della cucina di Bagàana.

Il disastro

Certo, l'aria in casa quella notte non era proprio fresca, iniziava ad insinuarsi un certo olezzo di marcio, ma di nuovo si pensò che una bella lavata ed una buona cottura avrebbero 'sanificato' la carne già ben frollata. Ingeòon poi si ricordava le spezie che il norcino usava quando uccidevano il maiale, quindi anche quelle avrebbero reso la carne buona e appetitosa.

E iniziarono i lavori di pulitura, sezionatura e bollitura. Una notte di fatica, ma la mattina tutti avevano la pancia piena e in tanta abbondanza anche il gatto ebbe la sua parte. Il giorno dopo non pareva vero di poter mettere sotto i denti ancora una volta della carne e così il banchetto proseguì per Ingelòon, la moglie, i figli ed il gatto, naturalmente.

Fino a quando fu proprio il gatto ad iniziare a dare segni di malessere.

Nemmeno il tempo di dubitare che la causa potesse essere proprio il lauto pasto ed anche i figli -uno ad uno- si trovarono a dover correre nella stalla o sul fosso dopo lancinanti fitte alla pancia. Naturalmente la stessa sorte toccò anche a marito e moglie e in men che non si dica, tutti furono colti da terribili dolori e potenti scariche... Un disastro, anche perchè all'epoca mica c'era il bagno in casa e ci si doveva accontentare di correre al primo posto disponibile, dietro la stalla o nel pollaio o lungo qualche riva. Figuriamoci in caso di disturbi intestinali per un'intera famiglia.

La soluzione fu quella di trasferirsi proprio in quel recinto allestito per riparare il maiale quando stava male: lì c'era spazio per tutti, la paglia non mancava e l'aria aperta aiutava a gestire meglio gli effetti del malessere. Stesso consiglio lo diede il medico, accorso per curare i poveri disgraziati, che se la cavarono nel giro di qualche giorno, tornando quindi alla vita povera e di miseria di sempre, gettando via a malincuore quanto era rimasto della carne cucinata in modo fraudolento.

Solo il gatto non fece mai più ritorno in quella cascina: pure lui si salvò, ma dopo la disavventura gastrointestinale decise che era meglio stare alla larga da quella casa. Fu infatti visto in una cascina lì vicino, dalla quale non si allontanò più.

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